Camilla

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#1 Un gabbiano azzurro,baci e profumo di basilico

Non passeremo mano nella mano. Forse non lo faremo mai. Non ci si addice. Un gabbiano azzurro salta fra la mia e la tua testa. Me ne accorgo solo io. Troppo distratto. Il sole scende a baciarci in picchiata. Tu non ne sei troppo contento. La tua pelle sarà restia a questi baci. Io di baci ne voglio troppi. Sarà l’egocentrismo, questi occhi di tutti che devono guardarmi perchè mi senta consistente. Le pietre ci danno passi. Camminavamo un po’ distanti. Non sappiamo dove andare. Andiamo, procedendo veloci, come due bambini. Tu sei mio fratello. Riconosco in te i momenti della mia infanzia: hai giochi nelle mani, lacrime che arrivano alle ginocchia e sai correre. Corriamo come fanno i bambini. Ridevamo anche, con le risate di quando si corre, di chi è goffo. Siamo goffi insieme. Eravamo sulle scale e scendiamo e risaliamo molte volte. Nella mia giornata e adesso sono goffa perchè ti guardo. E’ difficile intercettare i tuoi occhi, allora sto a guardarti nella tua interezza. La tua interezza mi piace. Tu sei mio amico. Conosci i miei gusti musicali, i cibi che amo mangiare. Componi il numero di telefono con stanchezza, ma conoscendone a memoria ogni cifra. Mangiamo un gelato. Lo assaporavamo: tu come un leone, con grandi e linguacciuti baci, io come una mosca, avvicinandomi di zampe, solo per lavarmi le mani. Sapevi condurmi dove volevi tu. Io ti parlo troppo. Di magie in nove mosse, di disegni muti, di specchi che a guardarsi dimagriscono. Su tutto sei scettico. Tu sei mio padre. Mi incanti con insegnamenti banali, parole che conosco a memoria, aneddoti veri mille anni fa: tremo brividi di riconoscenza: li comunico con lacrime e spalle. Anche al tuo nome ho paura. Cantavo una canzone mentre tu giudichi disdicevole ogni nota. Un gatto attraversa la strada. Tu ti piegavi in un gesto poco familiare di carezze: lo dici in dialetto e io sorridevo di complicità. All’improvviso, come se il tocco t’ha reso più vulnerabile, ti avvicini all’orecchio, solo per condividere meglio il tuo sospiro. Appena inciampata, riprendo a guardarti con tutta l’eleganza e l’indifferenza che conosco. Cerchi di rabbuonirmi con un motivetto a tua volta e cammino più veloce facendo finta di sfuggirti. Venivi a me inlaguidendomi. Tu sei mio figlio. Ti ascolto piangere alla mia gonna, ricordo a memoria la smorfia della tua bocca quando hai paura e le vibrazioni dei tuoi capricci. La tua risata mi nutre, così i tuoi fallimenti. Entravamo in una casa. Le nostre giacche diventano troppo pococ resistenti a questo vento. Io mi sedevo su un divano, evitando di sembrare così troppo scoordinata. Non toglievo nemmeno la giacca. Tu vuoti le tasche come un ladro. E come un ladro chiudi le finestre, raccogli il basilico e bevevi. Alla fine ti accoccolavi al mio fianco per una riparata carezza. Non so con quale dimestichezza ti accolgo, ma non difficile. Tu sei il mio amante. Mi oriento su di te ad occhi chiusi e dico parole divise in sillabe che tu sai unire. Tu unisci. Chiudevamo gli occhi. Io solo per recitare. Un breve buoi recito. Il mio peso si espande definitvo e ci addormentiamo. 11230579_10205752119113939_425597822208431455_n 10687151_10203972987916771_9138202149913141228_n

 

1 dicembre 2015

#Camilla 2 La torta di mele 

 

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Penso a quando ero piccola. Quei pochi anni di me bastavano per una leggera coscienza e per la sciocchezza. Io sono sciocca, ho i sogni che hanno tutti. Amo mia madre e spero in una felicità contingente, che si riconosce nell’attimo in cui si manifesta e non a posteriori. Sono troppo sciocca, perfino per i ricordi, sin da quando ero piccola. Da allora ad oggi sono sempre piccola e sempre lo sarò.
Porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro per sistemarsi e avere la meglio sl vento. Il passo svelto non aiuta. Il passo svelto non è necessario, ma necessario è il rumore che comporta.
Lui starà pensando a noi. Forse, mentre sorride, pensa a stanotte, alle cose che cucinerò per lui, quando saremo a casa nostra. Ancora non sa che non so cucinare che la torta con le mele. Questo buio mi eccita.
Compra una rivista di moda. Non perché le serva sapere il colore dell’estate, né le undici mosse per un ventre piatto in undici giorni. La rivista, sotto braccio, colma una mancanza e rende più professionale la sua immagine riflessa velocemente sulle vetrine dei negozi. Non passa vetro al quale non dedichi attenzione.
Non ho lavato i piedi. Nemmeno dopo questo lungo viaggio in treno. Ma tanto, ora sono qui: nascosti sotto le lenzuola non c’è possibilità di sentirne il cattivo odore. Aspetto. Fumerei una sigaretta. Potrebbero esistere delle sigarette colorate per signore. Il giallo non è un colore che mi piace. Sento freddo. Una coperta, già, ci vorrebbe una coperta.
Dodici posti a sedere e solo quattro persone. Un mendicante sale per chiedere l’elemosina alla fine della sua esibizione: suona il violino. Il violino non è uno strumento che si addice ad un mendicante, ma lei piange. Si commuove facilmente, come sempre, ma oggi piange per un motivo preciso. Porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, sfruttando il gesto, asciuga le lacrime prima che la metropolitana e la sua velocità gliele porti via lasciando solo il ricordo stagnante dell’umidità.
Quando mi ha chiesto di sposarlo: Oh che felicità! Appena l’ho visto entrare nella stanza sapevo che me l’avrebbe chiesto: aveva un’aria diversa: Così triste. Lo so che era stato da quella puttana per lasciarla e venire da me. Lui pensa che io non sappia niente di lei, del loro amore, della sua fredda intelligenza e della passione per la lirica. Quanti teatri avranno abitato insieme, lui e quella puttana, quante volte lui le avrà spostato una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro. Io ho i capelli troppo corti perché faccia questo gesto per me. Li ho tagliati quando mi ha chiesto di sposarlo. Poi ho iniziato ad intrecciare i fili di una coperta.
Seduta a tavola non mangia, anche se è ora di pranzo. Vivendo da sola ha la libertà di preparare un pasto che non consumerà. Il piede sul pedale che solleva il coperchio del secchio della spazzatura e via, giù, tutti e tre i sofficini cotti al forno. Gli ultimi della confezione, quindi, via, giù, anche il cartone vuoto che aveva comprato Niccolò. L’ultima spesa fatta da Niccolò consisteva in un pacco di soffici, una confezione da sei di birre Nastro Azzurro, un brick di latte parzialmente scremato, un preparato surgelato per risotto alla pescatori e una confezione di smacchiatore Dash da 500 ml per bianchi e colorati.
700 grammi di mele, tre uova, 70 grammi di burro, 300 grammi di farina 00, 250 grammi di zucchero, un bicchiere di latte, un limone, una bustina di lievito per dolci, vanigliato. Bisogna sbucciare e affettare le mele e irrorarle con il succo di limone. Ho ucciso un centinaio di uccellini nell’ultimo mese. Altrettante lucertole. La ricetta della torta di mele l’ho imparata da piccola, come ora sono piccola e sciocca. Poi bisogna montare gli albumi a neve e a parte sbattere i tuorli con lo zucchero. Una volta catturati, con la presa ben ferma, bisogna girare contemporaneamente la testa nel senso opposto al giro del corpicino con le ali, e con questo colpo netto la testa viene via con poco spargimento di sangue.

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Ogni pagina letta quel giorno è una pagina in più che leggerà domani. E’ tropo distratta. Tamburella con le dita sul tavolo e pensa al viaggio a Venezia che non farà.
Lui pensa che io sia felice perché ci siamo sposati. Che magari sogno un figlio che abbia i suoi occhi, perché sono piccola come quando ero piccola e sciocca piccola. Ancora lo aspetto a letto. Ma quanto ci mette? Magari pensa anche che io sia vergine! Tutte le volte che sto in silenzio lui pensa che io pensi all’amore, al valzer, ai cappelli con i nastri, alle carrozze delle signore di Royal Mile. Io non penso a niente. Sono troppo sciocca per pensare. Non sono piena e profonda come quella puttana che sapeva di Caravaggio e scriveva racconti brevi. Chissà se quella puttana ha mai cucito una coperta come la cucio io.
Passa con lo swiffer su i suoi mobili. Il comodino, la cornice dello specchio. Ha una mano in tasca e piange. Ogni tanto, ad intervalli irregolari, tamburella con le dita sulla superficie liscia dei suoi denti, incontrando così le sue lacrime, e, sfruttando il gesto, le asciuga, lasciando solo il ricordo umido vivo dell’umidità ripetuta.
Aggiungere alle uova il burro ammorbidito e montare. Versare un bicchiere di latte e mescolare fino a che l’impasto del dolce sia liscio ed omogeneo. Far passare l’ago con il filo della canna da pesca trasparente nell’ala spiegata del primo uccellino e fare un nodo all’estremità del filo; una volta saldato al primo uccellino trapassare con il filo l’ala del secondo, poi il corpo della lucertola e così via.
Piange, ma non ama Niccolò. E Niccolò non ama lei. Ma stavano bene insieme. Avevano diviso bene i compiti per la gestione della casa. Ora le sembrava un lavoro immenso tutto quello che c’era da fare e c’era da farlo sa sola.
Ho preso la coperta perché fa troppo freddo. Chissà, magari sentendomi muovere capirà che sono ancora sveglia e si affretterà a venire a letto. Mi infilo subito: la coperta è calda come se fosse ancora viva.
Dopo aver lavato i denti con la stessa perizia di sempre -alcune cose non cambiano mai- si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro, poi si mette a letto. E’ ancora accesa l’abat-jour e lei guarda il vuoto. Ora non so a cosa pensi.
Aggiungere poi la farina a pioggia con il lievito e la scorza grattugiata del limone. Incorporare gli albumi montati a neve. Infine aggiungere le mele all’impasto.
Ricorda ora di non aver abbassato la persiana. Si alza e si chiude, quindi, ermeticamente nella sua solitudine.
La coperta in effetti è viva. L’ho iniziata quando mi ha chiesto di sposarlo. E’ una coperta fatta me, con le mie mani da sciocca. I suoi fili sono lucertole e uccellini. Noi siamo lucertole e uccellini.

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La tua puttana è una rosa. Ma non ci sono rose nella mia coperta. La coperta non è finita e io penso ancora a quando ero piccola. Non sono cambiata da allora. La coperta la finirò quando tu verrai a letto.
Cuocere la torta in forno preriscaldato per 40-50 minuti a 180°.
Rientrata fra le sue gelide coperte chiude l’abat-jour, posa la testa sul cuscino. Porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro e si addormenta.
Finalmente è venuto a letto. Mi muovo un po’ così mi sente. No, aspetta, si avvicina a me, restando ancora in piedi. Che sciocca: vuole un bacio, prima di entrare nella mia coperta: involucro di centinaia di vite. Lo bacio. Poi gli porgo con la mia mano l’ultimo filo: così la coperta sarà finita. Caldo, fra il mio e il suo palmo l’ultimo uccellino senza testa.
Benché fosse chiusa la finestra il suono trapassò e, al mattino, fu un uccellino a svegliarla col suo canto, dal suo becco, sulla sua test,
Servire la torta non troppo calda.

2 DICEMBRE 2015

Camilla#3 Il mio polso,il mio gomito,i tuoi occhi lunghissimi..

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Il giorno in cui ti lascerò andare sarà un giorno molto allegro: Piangerò con estrema serietà e ad alta voce. Ad accoglierti alla stazione dei treni ci saranno tre giraffe che profumano di lavanda. Tu sei stato sul treno per tre giorni, il tempo che ci vuole per dimenticarmi. Il giorno in cui ti lascerò andare sarà di Aprile, perché è il mese più crudele dell’anno. Ti accompagnerò alla porta della mia casa cantandoti una canzone che conosciamo solo io e te: Andandotene tu non sarai poi triste, sapendola une decisione già presa per tempo. Cantando, fra una strofa e l’altra, dirò parole d’addio, molto dolci, ma anche, a tratti, divertenti, con passi lenti, di ciabatte molto usate. Tu, mi starai davanti, in questa processione al contrario e ti girerai per implorarmi con uno sguardo di riiniziare a cantare, di smettere di parlare. Avrai una valigia di pelle blu e gli occhi lunghissimi. Vorrò darti un bacio sulla guancia prima di andare e così ti passerò una lacrima sicura di sé, una lacrima che volge le cose a giustizia. Salirai sul treno portandola con te. Ma sai, alla partenza, sporgendoti dal finestrino del treno, la velocità farà scivolare la lacrime lungo la tua faccia: La percorrerà tutta obliquamente e poi a terra.

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Il giorno in cui ti lascerò andare porterai via il mio polso e il mio gomito. Ci saranno solo ore di carta e molte più cose saranno combustibili. Alla stazione tre giraffe color lavanda ti accoglieranno con molto esntusiasmo e fiori di pesco in ghirlande. Per tutti e tre giorni di viaggio mi hai pensato: Avrai compresso gli anni in giorni, i giorni in minuti, i minuti in secondi, così da poter ripercorrere tutta la nostra vita. Poi, col fischio, sarà svanita ogni problematica circa l’incontinenza, la predestinazione e il bene comune e tu poserai il piede a terra. “Prego signore, scenda”. Un passo, un piede, poi l’altro, il gomito e il manico. Appena il piede toccherà terra. : Si, appena il movimento avrà finito di muoversi e di muoverti. Appena la forza di gravità si rimpossesserà di te più definitivamente. Il giorno in cui ti avrò lasciato andare per amore: ” Ti prego, Amore, non lo poggiare!” Il gradino metallico ti scivola giù dalla suola. Appena hai posato il piede a terra hai smesso di amarmi. Il giorno in cui ti avrò lasciato andare ti basterà posare il piede a terra. ” Posalo, Amore.” Il giorno in cui tu avrai lasciato me io ti amerò per sempre.

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#Camilla 4 Portami…………..

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Portami in quel posto dove hai detto che mi vuoi portare.
Partiamo insieme, perché è insieme che sconfiggiamo la morte.
Se piangiamo, ridiamo, ci disperiamo o ci guardiamo negli occhi.
Quando mi dici di non fumare o io noto i tuoi capelli, una piccola parte di noi si salva.
Allora portami, senza pensare, dove ti pare.
Se c’è la sabbia rossa o la neve non importa, perché sarà una strada nuova.
Ogni strada nuova, una piccola parte di noi è salva.
In questo passato, in quel presente, al futuro.
Portami, perché è più importante per me andare che restare qui.
Ho sempre due gocce di lacrime attaccate sulle ciglia, perché tu sei un marinaio ed hai il sale sulle mani.
Portami, perché è me che vuoi al fianco.
Sulla tua nave, in un romanzo, nel presepe di Natale.
Io ti confesso che soffro i viaggi e lamento una nausea ogni volta che andiamo perché ad ogni curva non smetto di guardarti.

Per sempre marinai…..

Camilla

 

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